Quarto appuntamento con la rubrica “Arte e scatole”, un viaggio alla scoperta di come importanti artisti contemporanei hanno utilizzato il cartone come mezzo espressivo. Scopri tutte le altre interviste: James Lake – Mark Langan – Carlo Casarini – Dosshaus
Il cartone è un materiale che, in sé, prevede la stratificazione. Una caratteristica che è stata egregiamente colta da Kiel Johnson, artista statunitense che utilizza il cartone per creare opere di grande impatto visivo e raccontare così i suoi viaggi e le sue avventure nella vita di tutti i giorni. Proprio come il cartone, la vita, nel suo fluire quotidiano, crea strati che, sovrapponendosi, danno luogo alla storia di ciascuno di noi. Una storia unica, inimitabile, che nasce dalla collezione di momenti vissuti. E anche se molti di questi, considerati in sé, non hanno nulla di particolarmente speciale o emozionante, sommati insieme creano qualcosa di straordinario: l’individualità, la personalità di ciascuno di noi.
Non solo un artista, quindi: Johnson si definisce addirittura più un esploratore, seppure della quotidianità. Perché quest’ultima, nella sua semplicità, spesso addirittura nella sua routine, racchiude in sé infinite potenzialità. E quale materiale è più quotidiano del cartone? Quale materiale può esprimere al meglio questo concetto di bellezza del reale, del vissuto?
Partendo dalle impressioni suscitate dagli episodi della vita di tutti i giorni, Johnson cataloga emozioni e stati d’animo colti in ogni singolo attimo, rielaborandoli poi per dar vita ad opere uniche e originali. Il suo approccio è prettamente sperimentale, con l’intento di personificare, dando loro un’anima, oggetti inanimati. Trasformati in opera d’arte, gli oggetti d’uso comune acquistano un nuovo significato, diventano preziosi, iconici. E in questo modo, anche noi riusciamo ad apprezzare molto di più le piccole gioie quotidiane, soffermandoci a riflettere su quanto quegli oggetti che spesso consideriamo inutili o ai quali facciamo caso ben poco, siano in realtà non solo indispensabili ma anche belli.
Per Johnson, il punto di partenza del processo creativo deve essere sempre ludico: solo con uno stato mentale predisposto al gioco, al divertimento e alla curiosità è infatti possibile cercare – e creare – nuove forme di comunicazione, trasformando il materiale in un linguaggio visivo capace di suscitare emozioni e sentimenti.
Abbiamo chiesto a Kiel Johnson di raccontarci il suo lavoro, per conoscere più da vicino l’opera di questo artista estroso ed eclettico.
Kiel, da dove nasce l’idea di realizzare sculture in cartone?
Sinceramente, finita la scuola avevo pochi soldi in tasca ma un gran desiderio di fare arte. Perciò iniziai a cercare un modo per creare opere artistiche, anche imponenti, senza spendere troppi soldi. E ho trovato fortuna. Grazie a un materiale straordinario come il cartone. Il cartone che utilizzo per il mio lavoro è in parte riciclato e in parte grezzo, acquistato da un fornitore di Los Angeles; cerco di valorizzare al massimo questo materiale, anche se per realizzare un’opera mi avvalgo anche di altri, come acciaio, legno, argilla, alluminio, carta, polistirolo, pelle, feltro, plastica, bronzo, filato … In pratica, tutto ciò che riesco a trovare che può essere manipolato lo interpreto come materiale artistico.
C’è una creazione che riveste un particolare significato per te e di cui vorresti parlarci?
Tutti i miei progetti rivestono un significato speciale per me ma uno dei più interessanti, sia in termini di crescita culturale che di tempo speso a realizzarlo, è stato Atomospheric Conditions, un nastro trasportatore realizzato interamente in legno sul quale erano state installate nuvole di cartone in modo da creare un singolare paesaggio in movimento. È stato un progetto molto complesso, per diversi aspetti, tanto che per tre o quattro volte sono stato sul punto di rinunciare. Ma alla fine ho tenuto duro e la mia perseveranza ha pagato. Ho imparato molto, realizzando quest’opera, che purtroppo però è andata distrutta.
Come si sviluppa il tuo processo creativo?
L’ispirazione nasce letteralmente ovunque: da un libro che sto leggendo, ricordando una conversazione che ho avuto, un film che ho visto o un sogno di cui sono stato protagonista. Ogni avvenimento, anche quello apparentemente più piccolo e insignificante, può essere fonte di ispirazione per realizzare un’opera d’arte. La vita intera, nel suo continuo flusso, rappresenta per me un terreno fertile per fare arte. Anzi, di più: considero la vita stessa come un lungo romanzo che sto scrivendo tramite un linguaggio visivo. Il mio lavoro è una continua metamorfosi e spesso un’ottima idea può venir fuori da un errore o da un lavoro che non mi soddisfa appieno. Fare arte è anche esplorare l’universo del possibile. Magari realizzo un’opera, la definisco in ogni particolare e poi mi chiedo: e se questo elemento fosse verde? E se quest’altro fosse più alto o piegato? In questo modo non solo faccio lavorare la mia mente per trarre ispirazione in vista di nuovi progetti, ma faccio anche arte fine a sé stessa, considerando tutte le potenzialità che un’opera racchiude in sé. Ed è proprio questa caratteristica che fa dell’arte qualcosa di vivo e di immortale al tempo stesso.
C’è un artista italiano che apprezzi particolarmente o dal cui lavoro trai ispirazione?
L’Italia è sempre stato un Paese di grandi artisti. Tra i miei preferiti, ci sono sicuramente Lorenzo Ghiberti, Giorgio De Chirico, Giorgio Morandi e Maurizio Cattelan.